Parlare di fiabe potrebbe sembrare anacronistico ma esse rappresentano un patrimonio culturale e psicologico importante.I primi ad occuparsi in modo sistematico, e con passione, di questi racconti furono i fratelli Grimm i quali li consideravano resti di antichi miti, sopravvissuti e tramandati, nella memoria popolare, dalla tradizione orale.
Anche Jung, sebbene da un altro punto di vista, si interessò alla fiabe e sostenne che esse sono l'espressione dei processi dell'inconscio collettivo. L'inconscio collettivo è, per Jung, una specie di deposito comune a tutta l'umanità che si è sviluppato grazie ad una predisposizione comune al genere umano ad organizzare, in modo simile, le esperienze che si ripetono attraverso le generazioni.
Le esperienze e le predisposizioni mentali comuni a tutte le generazioni sono gli elementi che portano alla formazione degli archetipi: sedimentazioni psichiche stabili di frequenti e ripetute esperienze fatte da tutte le generazioni. Gli archetipi hanno una struttura universale ed una valenza affettiva. Jung afferma: "l’archetipo è la tendenza a formare singole rappresentazioni di uno stesso motivo che, pur nelle loro variazioni individuali anche sensibili, continuano a derivare dallo stesso motivo fondamentale … la loro origine è ignota e si riproducono in ogni tempo e in qualunque parte del mondo, anche laddove bisogna escludere qualsiasi fattore di trasmissione ereditaria diretta o per incrocio”.
Gli archetipi possono essere visti come una sorta di mattoncini che compongono la nostra psiche e che tutti noi abbiamo.
Tenendo presenti i concetti di archetipo e di inconscio collettivo diventa facile comprendere l'interesse di Jung per le fiabe ed i miti. La fiaba è il prodotto dell'intelligenza umana e della sua fantasia e racconta di sentimenti, desideri, paure. Ogni popolo, insieme alla proporia mitologia, ha sviluppato fiabe nelle quali, seppur diverse tra loro, si riscontrano temi e costanti comuni pur non avendo avuto, questi popoli, contatti tra loro. Ad esempio, di Cenerentola esistono più di 300 versioni presenti in Europa, Africa ed Asia.
Jung vede nelle fiabe l'espressione dell'inconscio collettivo poichè nella ripetizione, in tempi e spazi lontani e differenti tra loro, di motivi e temi simili emergono gli archetipi. Inoltre nelle fiabe, a differenza dei miti, il materiale culturale è scarsamente presente per cui, in esse, l'archetipo si manifesta nella sua forma più pura.
La Von Franz afferma che nelle fiabe si trova la descrizione di un evento psichico che Jung chiama Sé. Il Sé rappresenta la totalità psichica dell'individuo ed anche il centro regolatore dell'inconscio collettivo. Essendo le fiabe l'espressione più elementare dell'inconscio collettivo possono rivelare una immagine delle diverse fasi per raggiungere il Sé.
Anche per M. Dieckmann le favole sono importanti, infatti, attraverso sogni, associazioni e fantasie la favola preferita della nostra infanzia emerge dall'inconscio. Il periodo delle fiabe è anche il momento in cui si fissano i primi nuclei nevrotici ed appaiono i primi sintomi. C'è uno stretto legame tra la favola preferita, struttura della personalità, modelli di comportamento e nevrosi futura.
La dinamica della nevrosi individuale può essere mostrata dalla favola preferita la quale evidenzia i contenuti e le immagini dell'archetipo. Dieckmann pensa che le identificazioni e le fissazioni possono essere elaborate, nel percorso di analisi, portando alla coscienza la favola preferita dell'infanzia.
Miti e fiabe sono, e rimarranno, due strumenti importanti di conoscenza: essi raccontano di noi, delle nostre debolezze, delle nostre paure ataviche, delle nostre potenzialità e del modo in cui riuscire a realizzarci.
Dr.ssa Maria Silvia Ceci
Psicologa Psicoterapeuta a Parma